A tutto Paolo Maldini. La bandiera rossonera si è racconta in oltre un'ora di intervista a Radio Serie A, nel format "Storie di Serie A" di Alessandro Alciato. Maldini, rimasto senza squadra dopo l'addio ai rossoneri in estate, ha parlato così a proposito dei suoi inizi a Milanello, del rapporto con Berlusconi, del suo sentirsi una bandiera, della Nazionale azzurra, dei successi e delle sconfitte, senza contare l'attualità e le delusioni, come ad esempio l'addio al Milan in estate.
Queste le parole di Paolo sul suo rapporto col Milan da dirigente: "La chance di lavorare con i rossoneri è arrivata perché con Leonardo avevamo lo stesso modo di condividere le cose. Ho scelto questo ruolo perché era il Milan, ho impiegato una decina di mesi per riuscire a capire tutto. Non ho mai detto no al Psg, c'era stata questa possibilità, ho incontrato due volte Nasser Al Khelaifi, ma poi non si è mai andati avanti ed è stato bene così. I miei primi 10 mesi sono stati un disastro, tornavo a casa e non ero contento. Leonardo rideva e mi diceva che non capivo quanto stessi diventando importante. E riguardo a un altro club in cui lavorare, dire che la regola vale per l'Italia perché non ce la faccio a vedermi in un club diverso dal Milan. A San Siro, però, non vado. Seguo i rossoneri e Monza, ma non mi sembra logico andare. Certo, quando vedo la fascia sinistra con Theo e Leao, beh, è uno spettacolo".
Maldini ha parlato anche di Silvio Berlusconi e del loro rapporto: "Ha portato un'idea moderna e visionaria non solo del calcio, ma del mondo. Nel primo discorso nella sala da pranzo a Milanello ci disse che voleva che la nostra squadra giocasse il più bel calcio del mondo, lo stesso in casa e in trasferta, e che presto saremmo diventati campioni del mondo. Dall'anno dopo, è cambiato tutto. Ha preso preparatori, costruito strutture per competere con i top al mondo". E ancora: "La sua impronta è ovunque. A me piaceva molto la sua idea di cercare di giocar bene, cercare di vincere e rispettare l'avversario. Lui diceva sempre. 'Se non vince il Milan, allora tanto vale che vinca l'Inter'. C'è rivalità, ma l'idea di essere onesto e arrivare al risultato attraverso il sacrificio e complimentarsi con un avversario è un insegnamento. Non si è mai logorato quel rapporto, facevamo tante battute, sono diventato amico di Pier Silvio e lui mi ha sempre trattato come un secondo padre. Quando è stato ricoverato mi ha chiamato per fare degli scambi Milan-Monza, ed è stato divertente. Il calcio lo ha accompagnato fino all'ultimo".
Questo il commento di Maldini sui dirigenti dell'Inter invece. Marotta e Ausilio hanno vinto la seconda stella dominando il campionato: "L'Inter ha una struttura dell'area sportiva eccezionale, questo è il segreto. C'è un'idea precisa con contratti lunghi. Si da sempre poca importanza alla gestione del gruppo, non è un caso che il Napoli sia andato così male dopo l'addio di Spalletti e Giuntoli. Consideriamo i calciatori come macchine, ma hanno bisogno di qualcuno che parli con loro e gli dica come stanno le cose". Tra le bandiere dei club, attualmente solo Zanetti ha un ruolo nella società: "A volte il passato fa paura, ma avere un grande passato da calciatore non ti fa essere per forza un ottimo dirigente. Serve qualcuno che ti dia l'occasione. Quando mi hanno chiamato al Milan ho chiesto se fossero sicuri di questa scelta, perché il passato ingombra". Tanti i temi trattati. Dall'avversario più forte al compagno di squadra migliore: "Se devo citarne uno dico Franco Baresi. Era perfetto. Poi anche Van Basten è stato incredibile. E ancora Ronaldinho e Ronaldo il Fenomeo. All'Inter era qualcosa di impossibile. A me piaceva fare quello che dice all'avversario: uno contro uno e andiamo, ma con lui non si riusciva. Era grosso, veloce, tecnico, molto difficile".
Nessun rimpianto, poi: "Non ci sono state offerte di cui mi sono pentito. Meglio del Milan non c'era niente. E neanche non aver vinto il Pallone d'Oro è stato un rimpianto. Non ho mai vinto il Mondiale e l'Europeo, erano obiettivi che mi ero prefissato. Io il più grande perdente della storia? Sì, ma faceva parte di un discorso più ampio. Ho perso 9 finali, è vero ma dopo Istanbul c'è sempre Atene". L'ultimo appunto è sul Mondiale 2006: "Ne ho giocati quattro, quello non è un rimpianto. Lippi venne a parlare con me, ma all'epoca avevo problemi al ginocchio e facevo fatica a sopportare due impegni. Inoltre avevo già detto no al Trap per Euro 2004". Paolo ha parlato anche di Daniel Maldini, ala d'attacco del Monza in prestito dai rossoneri: "Il suo è un destino a cui no si scappa. I miei figli sono sempre stati innamorati di questo sport. Daniel ha sempre saputo a cosa andava incontro. Lo sport è democratico e va avanti solo chi ha valori. Alzare la coppa come me e mio padre? Deve essere un'ambizione, non una pressione".
Fonte: Gazzetta.it