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Calcio

Milan in panne: i cinque problemi che Fonseca deve risolvere

Marco Pasotto
Milan in panne: i cinque problemi che Fonseca deve risolvereN/A
In attesa di una mano dal mercato, ecco gli aspetti su cui è chiamato a lavorare maggiormente il tecnico. L'obiettivo primario è avere il suo vero Milan in vista di Champions e derby

Assemblare e riadattare richiede tempo. Il problema è che la clessidra del Milan scorre senza che si intraveda la luce in fondo al tunnel dei problemi, e il calendario si prepara a bussare con forza. Lo spartiacque è per forza di cose il fine settimana del 15 settembre. Dopo la partita casalinga contro il Venezia, i rossoneri saranno attesi dal primo impegno in Champions e dal derby (in casa dell'Inter). Superfluo constatare che per allora Fonseca dovrà essere stato capace di ridisegnare un'altra squadra. Di situazioni a cui mettere mano in questo momento ce ne sono a volontà. Ne abbiamo isolate cinque. La proponiamo in cima all'elenco perché, al netto degli strafalcioni tecnici e tattici, l'impressione netta che hanno dato le prime due partite stagionali del Milan è l'assenza di carattere. Di fame. Di cattiveria. E tutto ciò nonostante Ibra frequenti ancora Milanello e lo spogliatoio, sebbene in giacca e non in divisa da gioco. Era immaginabile che l'addio di Giroud e Kjaer (a cui si unisce il lungo stop di Florenzi) avrebbe generato un vuoto senatoriale in rosa. Ma era altrettanto lecito attendersi che quel vuoto potesse essere colmato da chi frequenta Milanello da più tempo. Anche se non si tratta di over 30. I nomi in particolare sono quelli di Leao e Theo, che in due fanno 51 anni però sommano 427 presenze col Diavolo. Sono due tra i giocatori più talentuosi della rosa, pilastri di questa squadra: chi dovrebbe gestire la leadership, se non gente come loro? Dal mercato sono arrivati quattro giocatori destinati in termini sommari a un ruolo di titolarità. Morata non ha fatto in tempo a timbrare per la prima volta, che si è ritrovato fermo ai box. Non il massimo in una squadra che tatticamente è cambiata sotto diversi aspetti e che Fonseca sta ancora educando alle proprie idee. Pavlovic è stato l'unica nota lieta a Parma ed è destinato a rimanere dov'era al Tardini: titolare al centro della difesa. Emerson Royal invece ha dimostrato difficoltà evidenti in fase difensiva, sicuramente non aiutato dal contesto generale. Mentre Fofana ha semplicemente scaldato il motore per una manciata di minuti. Fra gli obiettivi di Fonseca c'è quello di portare tutti e quattro a regime quando alle porte arriverà, appunto, l'accoppiata Champions-derby. Scriteriata, per quanto si è visto fin qui. Difesa eccessivamente alta, pressione sulla prima linea di costruzione avversaria portata in maniera non omogenea, incapacità della mediana di fare filtro in fase di non possesso, marcature preventive inesistenti, giro palla lento, prevedibile, al limite dello svogliato. Altra sensazione, inquietante: chi porta palla dà l'idea di non sapere cosa farne. Si vedono giocatori che alzano la testa per impostare e non trovano (o vedono) linee di passaggio. Il Parma è ripartito in contropiede una decina di volte, a campo aperto: se succede così spesso, è ovviamente perché manca equilibrio. Contro il Torino quanto meno c'è stata una bella reazione di pancia nei minuti finali. A Parma nemmeno quella: il Milan non ha saputo prolungare l'inerzia del match a proprio favore dopo aver raggiunto il pareggio, contro un avversario che aveva speso parecchio e aveva perso parecchi metri di campo. È mancata la ferocia nel portare la sfida dalla propria parte, ha prevalso la sensazione confortante di averla riacciuffata. Eppure il Milan che era stato presentato al mondo da Ibra e da Fonseca viaggiava intorno a parole come queste: aggressività, possesso palla, calcio dominante, riconquista veloce del pallone. A Milanello e dintorni si dice che la preparazione voluta da Fonseca, a parità di periodo, sia stata più pesante rispetto a quella di Pioli. Di certo osservando il Milan, oltre a tutte le brutture tattiche e all'abulia di alcuni giocatori, saltano all'occhio gambe pesantissime per chi guarda dall'esterno. Perché Leao di certo non è un tiratore scelto, ma nemmeno un giocatore che sbaglia un appoggio dietro l'altro. Il vero Loftus-Cheek quando affonda si trascina dietro gli avversari. Il vero Hernandez quando sgomma fa il solco. E invece tutti fermi, ad aspettare il pallone sui piedi. La buona notizia in questo caso è il margine di crescita fisico: quando le gambe si alleggeriranno e inizieranno a eseguire ciò che comanda la testa, anche la testa sarà più sgombra dai cattivi pensieri.

Fonte: Gazzetta.it