C’è caos attorno al Milan: i tifosi contestano con gli striscioni, il silenzio e la curva svuotata; i dirigenti continuano a cercare l’allenatore con il quale costruire il futuro. Le due situazioni - la delusione dei tifosi e la scelta dell’allenatore - si sono incrociate nella curiosa vicenda Lopetegui: la società lo aveva scelto ma l’opposizione della gente l’ha convinta a rinunciare. Ora si stanno valutando altri nomi: tanti, forse troppi, sicuramente diversi tra di loro.
Ormai siamo abituati ai casting per la scelta del tecnico a cui affidare le sorti di una squadra. Questa attesa può essere interpretata come un segnale di idee poco chiare, ma forse indica solo che ci si vuole prendere tutto il tempo necessario perché non ci si può permettere di sbagliare la scelta. Il tempo, però, è scaduto. O quasi. Serve stringere i tempi perché gestire l’ambiente, in una situazione di incertezza come quella del Milan, è particolarmente difficile.
Lo è anche per Pioli, uomo di indiscutibile buon senso, il quale si fa carico - e viene caricato - di responsabilità che non sono sue, o che non sono solo sue. Il rischio che le pressioni, già notevoli, diventino eccessive, esiste ed è concreto. Se Cardinale (lui, non i tifosi) individuasse in tempi ragionevoli il nuovo allenatore, agevolerebbe il lavoro di tutti. Anche di chi deve costruire la squadra sul mercato, perché è giusto che il club prenda i calciatori in base alle proprie idee e alle proprie disponibilità, ma è comunque produttivo che si confronti con il tecnico che quei giocatori dovrà poi schierare. L’incertezza alimenta tensioni, nervosismo, delusione che poi sfocia nella rabbia. L’icona del momento milanista è Leao, uscito tra i fischi contro il Genoa dopo un’altra brutta partita. La contestazione a un idolo, all’uomo dello scudetto, dà sensazioni particolari: è inquietante come la statua dell’eroe abbattuta sulla pubblica piazza. Certo è che da uno come Rafa (con le sue qualità e anche - perché no? - con il suo stipendio) è giusto attendersi di più. Molto di più.
La corsa alla Champions - il Milan almeno quella se l’è tolta dalla mente - ha vissuto un momento importante con Juve-Roma. Tutt’e due hanno provato a vincere, tutt’e due sono rimaste deluse dal pareggio. Ma la Juve - che ha creato e rischiato, soprattutto nell’ultima parte di gara - tra le prime cinque arriverà, a meno che non accadano eventi davvero imprevedibili: ad Allegri sarà sufficiente battere la Salernitana domenica prossima. Si può fare. Diverso il discorso per la Roma, che stasera potrebbe essere raggiunta dall’Atalanta, la quale, però, ha una partita da recuperare. Lo scontro diretto di domenica, a questo punto, diventa una specie di finale: De Rossi deve vincere per mettersi i bergamaschi alle spalle, a Gasperini basta il pareggio. Il problema è che quel confronto così importante arriva tre giorni dopo le semifinali di ritorno dell’Europa League e che l’Atalanta, due giorni più tardi, avrà la finale di Coppa Italia. Per i nerazzurri, insomma, le finali sono tre in sette giorni. Ma non c’è da lamentarsi per i troppi impegni: a piangere devono essere quelli che sono fuori da tutto, mica Gasp.
Fonte: gazzetta.it