La battuta con cui si è presentato sul palco è degna della sua ironia: "L’ultima volta che ero venuto qui segnai due gol e mi dissero di non tornare mai più. L’ho fatto lo stesso, anche se 40 anni dopo". Michel Platini sul palco del Magna Graecia Film Festival di Catanzaro è stato l’attore protagonista della masterclass di domenica sera, un dialogo a due con Federico Buffa che verrà poi trasmesso su Sky sport. "Nel calcio di oggi c’è qualcosa di eccessivo? Troppe partite in tv - ha spiegato Platini -, se vedi un giocatore ogni tre giorni non hai più voglia di guardarlo. Ora sai sempre tutto, sai come gioca chiunque, non c’è più curiosità. Quando ero piccolo tutti parlavano di Pelè, ma nessuno l’aveva visto veramente giocare. Poi arriva un giorno dell’estate del '70, lo vedi in televisione al Mondiale in Messico e capisci che ciò che dicevano di lui era tutto vero. Chi mi entusiasmava oltre a lui? Il mio idolo era Cruijff, ma di lui avevo poco, magari la visione di gioco".
Introdotto dal suo amico ed ex compagno di squadra alla Juventus, Massimo Mauro, del quale Michel è stato ospite negli ultimi due giorni, Le Roi ha compiuto un viaggio a ritroso nella sua vita. Stimolato dalle domande di Buffa, Platini ha parlato del suo rapporto con papà Aldo, dei suo miti d’infanzia (Kubala, "che vedeva prima") e dei tanti sport che praticava quando era ragazzino: "Il Metz mi avrebbe portato in A nel basket, non so perché ero bravo, forse per la coordinazione. A 23-24 anni andai al Saint Etienne, era il momento in cui tutti volevano andare lì in Francia, io però lo feci perché fu impossibile passare all’Inter, e prima dell’Inter sarei potuto passare al Valencia".
Il Mundial ‘82 con la semifinale Francia-Germania è stato fra i punti salienti della lezione di Platini, quando già era già uno dei giocatori più forti in circolazione: "Successero tante cose quella sera, soprattutto l’aggressione del portiere Schumacher su Battiston, che lo mandò in ospedale, ma l’arbitro non disse nulla. Se ne parlo ancora in Francia piangono, fu tremendo non arrivare in finale". L’altro, naturale, è il rapporto con l’avvocato Gianni Agnelli: "Per i suoi 70 anni mi presentai con una cravatta nera nonostante ci fosse il divieto di indossarle di quel colore. Però gli regalai il mio primo pallone d’oro e lui mi chiese: "Ma è tutto d’oro?". Io gli risposi che se fosse stato veramente tutto d’oro non gliel’avrei mai regalato". Gli aveva regalato tanti altri gol e giocate, una Coppa dei Campioni e poesia in campo: "Ma il calcio è un gioco di complementarità, è l’intelligenza del gioco. Segnavo tanto perché mi trovato al posto giusto, ma scherzi a parte, quando arrivai in Italia, cascai in un altro mondo, mica sapevo che i tifosi fossero in quel modo".
Fonte: gazzetta.it