Siamo ancora alle bollicine nell’alambicco, prove di laboratorio, l’Italia che difenderà il titolo europeo verrà distillata più avanti. Ma abbiamo già un Donnarumma a livello Wembley ’21 e abbiamo ritrovato i gol di Retegui: 2. E abbiamo vinto, che non fa mai male: 2-1 al Venezuela. Dalla prima tappa americana ci aspettavamo qualcosa di più, ok, ma teniamo conto che Spalletti sperimentava rotte nuove e quindi ci stanno le difficoltà. In realtà, il c.t. ha ricordato Cristoforo Colombo, che cercava una via per le Indie, e ha scoperto l’America. L’Italia doveva approdare nel futuristico 3-4-1-2 e si è ritrovata altrove, in una terra molto più confusa, perché Chiesa, come da dna, stava sempre largo in fascia, mentre Frattesi era portato ad arretrare dalla sua natura di incursore che ha bisogno di spazi da cavalcare. Insomma, quasi mai traccia dei due trequartisti annunciati alle spalle di Retegui.
In quegli spazi, si inserivano a turno Bonaventura, Locatelli e altri. Molte rotazioni interne e centrocampo liquido che, nel vocabolario moderno, spesso è un eufemismo per non dire confusione. E, in effetti, nel primo tempo, vediamo soprattutto quella. Poca qualità e ordine nella costruzione. La conseguenza più plateale è che in tutto il primo tempo facciamo un solo tiro in porta, al 40’, ed è il gol di Retegui che ci regala gentilmente il Venezuela con uno sciagurato passaggio del portiere Romo, intercettato da Cambiaso. Siccome siamo gente di cuore, restituiamo la cortesia dopo 2’: azzardato disimpegno di Donnarumma a Bonaventura, spalle alla porta, che sbaglia l’appoggio e manda in gol Machis. Anzi, a dire il vero, la cortesia noi l’avevamo servita per primi, già al 2’ di gioco: palla persa da Scalvini, chiusura affannata di Buongiorno che causa un rigore evitabile. Diciamo che il primo tempo di Fort Lauderdale è stato un colossale spot contro la costruzione dal basso. Comunque, Gigio Donnarumma para il suo primo rigore azzurro nei 90’ e, nella ripresa, compie un’altra prodezza. Mettiamola così, allora: Retegui ha segnato i due gol della vittoria, rompendo un digiuno azzurro lungo un anno (362 giorni); Donnarumma, miglior portiere di Euro ’21, resta la garanzia di allora. In altre parole: dai poli estremi sono arrivati segnali confortanti. Il problema è quel che abbiamo visto in mezzo ai due, cioè il resto della squadra. Della confusione in costruzione abbiamo detto, aggiungiamo la poverissima offerta degli esterni e questo è un peccato mortale, perché non esiste modulo con la difesa a 3 che non pretenda una potente spinta laterale. Cambiaso e Udogie sono rimasti a lungo impercettibili, negando l’ampiezza alla manovra.
Alla vigilia, Spalletti aveva parlato di "cinque canali" di passaggio da aprire a ogni azione. Guardiola lo fa sempre, ma ha l’ampiezza assicurata da due esterni offensivi che stanno sempre alti e larghi (Foden-Doku o Grealish), non con due terzini come i nostri che a volte arrivano e spesso no. Così è molto più difficile. E poi: male la difesa e non solo nelle occasioni raccontate. Cosa avranno pensato Maldini e Cannavaro, appesi in tribuna come i quadri di gloriosi antenati? L’antico Rondon, 35 anni, ha portato a spasso i ragazzini azzurri, ma ha penato anche l’esperto Di Lorenzo che, nel primo tempo, si accentrava spesso per aiutare la costruzione. Anche questa è un’idea di Guardiola. Ma, come tutte le buone idee, funziona nel contesto giusto, al momento giusto. Infatti, nella prima metà, il modesto Venezuela ha sfondato spesso a sinistra, con Machis, approfittando, appunto, degli spazi aperti in fascia. Nel finale della partita, quando Spalletti, è tornato al fido 4-3-3, con giocatori nuovi, l’Italia ha cambiato passo e ha trovato la vittoria. Naturalmente non è stato un caso. E questa è la morale della prima uscita americana: ha fatto bene Cristoforo Spalletti a osare rotte nuove; giusto sperimentare la modernità e soluzioni innovative, ma un c.t. non ha a disposizione il tempo di un allenatore di club per mettere a punto nuovi meccanismi, troppo sofisticati. Teniamoci stretti il nostro caro 4-3-3. E, soprattutto, ricordiamoci la verità più importante: il miglior modulo del mondo è quello in cui ogni giocatore sta nel posto dove rende di più e si sente a casa. Nel primo tempo, troppi azzurri si sentivano in trasferta. Ma, intanto, abbiamo un portiere che para e un 9 che fa gol. Non è poco, ragazzi.
Fonte: Gazzetta.it