Dal posto fisso di Checco Zalone al premio fisso di Vinicius. Quella era una commedia, questa sembra una farsa. Sicuro che vincesse l'attaccante, per un'anticipazione rivelatasi quantomeno esagerata, ma che si è autoalimentata fino a diventare la verità, il Real Madrid ha preso molto male il ritorno alla realtà. Si sa, alle elezioni i brogli sono sempre quando vincono gli altri. Ieri mattina hanno finalmente avvisato il club dell’equivoco e, per tutta ripicca, è stato annullato il volo per Parigi con la mega delegazione già in viaggio per l'aeroporto. Non sorprende, essendo la decisione del club che vuole democraticamente imporre i partecipanti a vita alla Superlega e sembra non rendersi conto di essere la storia del calcio, la squadra più forte di sempre, l'esempio, il sogno di tutti, a prescindere da un Pallone d'oro in più o in meno. Ma i tempi cambiano. Di Stefano e Puskas, Raul e Butragueño, Zidane e gli altri non pretendevano di vincere sempre (oddio, CR7 forse sì). Un peccato che la cronaca extrasportiva finisca con l'oscurare la celebrazione dei belli del calcio, anzi del bello del 2024, meritatamente Rodri, il simbolo, il riferimento, la chiave d'avviamento della Spagna che ha giocato il calcio più divertente e semplice, classico se vogliamo, ma vincente. Anteponendo tecnica e istinto all'ossessione tattica, e battendo Italia, Germania, Francia e Inghilterra fino alla finale.
Un premio che significa molto per il calcio che, con ostentazione, ha sempre celebrato centravanti, ali, numeri 10 (anche se prestati alla mediana come Modric e Luis Suarez, oppure atipici come Matthaus), ma si è concesso minime divagazioni d'oro: Jascin in porta, Beckenbauer che sarebbe una bestemmia definire semplicemente un libero, Sammer centrale-mediano di un calcio che già cambiava i suoi canoni, e Cannavaro, l'unico difensore duro e puro della storia, l'insuperabile simbolo (con Buffon) del 2006. L’ultimo italiano iscritto nell’albo d’oro del premio. Da allora di edizioni difficili ce ne sono state tante, ma neanche un italiano nei trenta - e diteci se Saliba è meglio di Calafiori, o Vitinha di Dimarco - è un tema su cui impostare un dibattito post cineforum come quello auspicabile su Iniesta, grande storicamente dimenticato. L'Italia sono gli stranieri dell'Inter, Lautaro (7°, ci stavano un paio di posizioni più alte per il protagonista dei due mondi) e Calhanoglu (20°), e lo straordinario Lookman (14°) della finale di Europa League. Una partita che ha rivelato agli irriducibili del sangue blu che l'Atalanta è una grande e Gasperini (finalista) il suo profeta. D'altra parte la classifica dei tecnici, questa sì, parla italiano: ha vinto Ancelotti davanti a De la Fuente, ma il capriccio madridista l'ha privato del piacere di ricevere il premio a Parigi, l'ennesimo del grande Carletto, anche se De la Fuente meritava l'ex-aequo. Ah, poi, subito dopo Rodri, quattro madridisti tra i primi sei: Vinicius, Bellingham, Carvajal e, preceduto da Haaland, il nuovo Mbappé. Non solo. La squadra dell'anno? Il Real Madrid. Ma era il caso di fare gli offesi in una notte da sogno?
Fonte: gazzetta.it