Fu il grande rimpianto dell’Inter di Moratti e la grande fortuna del Real Madrid “Galactico”: Roberto Carlos da Silva Rocha, meglio conosciuto come Roberto Carlos o “L’uomo proiettile”, ha ridefinito gli standard del terzino tuttocampo a suon di trofei, bolidi da 30 metri e poderose sgroppate sulla fascia. Turbolento dentro e fuori dal campo, il suo è un genio che solo pochi allenatori hanno saputo comprendere ed intercettare nella sua massima espressione. Ma qual è la storia di Roberto Carlos? Ripercorriamo la sua carriera, dagli inizi in Brasile, passando per lo sciagurato sbarco in Italia sponda Inter per poi arrivare alla gloria col Real Madrid.
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Gli inizi di Roberto Carlos: la povertà in Brasile
Roberto Carlos apre gli occhi per la prima volta a Garça, comune nello Stato di San Paolo, nel 1973. La sua è la classica storia cullata dagli schiamazzi fanciulleschi della strada, col sacro balenare del pallone a scandire armoniosamente quell’ossimorica convivenza tra sogni di gloria e povertà. Proprio quest’ultima, crudissima realtà, spinge il ragazzo a lavorare in una fabbrica tessile, la Torsao Cardeiro, a soli 12 anni. In famiglia servono soldi per portare cibo sulla tavola, e le belle speranze del pallone occupano solo un piccolo spazio nella quotidianità del giovanissimo Roberto Carlos.
Le priorità cambieranno drasticamente quando un osservatore dell’Atletico Mineiro lo nota per le viuzze della sua cittadina, rimanendone folgorato. A soli 15 anni dunque, Roberto Carlos si aggrega al settore giovanile dell'União São João, confermando tutte le sue sconfinate potenzialità. Superata la trafila delle giovanili, Roberto Carlos si mette in mostra in una tournée con la prima squadra dell’Atletico Mineiro, che tuttavia finisce per scartarlo a soli 18 anni.
La carriera di Roberto Carlos
L’occasione per sbocciare definitivamente arriverà due anni dopo, nel 1993, quando il Palmeiras lo preleva per 500mila dollari dall’União São João. Da lì, il terzino paulista procede spedito sul binario deciso dal destino: con il Palmeiras alzerà due volte il campionato paulista e il campionato basiliano, lasciando intravedere quei lampi di grandezza che avrebbero riplasmato da zero il ruolo del terzino sinistro una volta sbarcato in Europa.
Inter
La transizione nel Vecchio Continente arriva nel 1995, grazie alla visione di Massimo Moratti. La sua Inter si sta armando per vincere la Champions League sotto la guida di Ottavio Bianchi, ma il binario nerazzurro deraglierà presto nel quadro di una stagione disastrosa. L'enigmatico talento del terzino verdeoro viene passato come una patata bollente dalle mani di Bianchi, poi Luisito Suarez e infine di Roy Hodgson. Quest’ultimo lo boccerà in pochissimo tempo, ritenendolo come un giocatore tatticamente indisciplinato.
Nel corso della prima e unica stagione all’Inter, Roberto Carlos finisce per eclissarsi col peggiorare della situazione in classifica: i nerazzurri chiuderanno settimi in campionato, lui metterà a segno 7 gol in 34 presenze fornendo qualche lampo d'estro estemporaneo, ma niente più. La rivoluzione tattica di Hodgson lo conduce presto verso il blocco trasferimenti, e il Real Madrid di Fabio Capello coglierà la palla al balzo.
Real Madrid
Alla corte di Florentino Perez, Roberto Carlos si consacrerà definitivamente nell’olimpo dei Grandi. La paziente guida di Capello lo completerà dal punto di vista difensivo, e al fianco di Zidane, Figo, Beckham e soprattutto Ronaldo il Fenomeno, vincerà tre Champions League, quattro campionati spagnoli, tre Supercoppe spagnole, una Supercoppa europea e due Coppe Intercontinentali in 11 anni. Per lui 527 partite e 69 gol in salsa merengue, un’enormità per il suo ruolo. Un ruolo che, aiutato anche dal connazionale Cafù, riuscirà a rifondare a cavallo di anni Novanta e Duemila, sdoganando l’era dei terzini veloci, tecnici come centrocampisti e con doti balistiche degne di punte di razza.
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La punizione di Roberto Carlos in Francia-Brasile spiegata dalla fisica
E a proposito di doti balistiche, come dimenticare quella punizione surreale insaccata in un Francia-Brasile del 1997? In una competizione a inviti che avrebbe anticipato la finalissima dei Mondiali dell’anno seguente, Roberto Carlos si incarica di battere una punizione dai 35 metri. Barthez, temendo la potenza sprigionata dai quadricipiti erculei del terzino verdeoro, ne piazza 4 in barriera. Una precauzione inutile, poiché in meno di mezzo secondo un bolide imparabile si insaccherà a filo del palo sinistro.
Ripresa di quinta, la traiettoria del pallone è a dir poco fantasmagorica: la sfera sembra destinata a perdersi ampiamente sul fondo, poi curva bruscamente all’ultimo beffando il portiere. Roberto Carlos aveva diffuso proprio questa raffinatissima tecnica su calcio piazzato: bisognava colpire il pallone sulla valvola, con le ultime tre dita del piede.
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Anni dopo, un team di fisici ha provato a spiegare la dinamica di quel bolide indimenticabile: “Il flusso d’aria dietro un pallone in volo può essere caotico oppure regolare. Il primo è chiamato turbolenza, e si ha quando la palla viaggia molto velocemente, il secondo è detto laminare, e si ha a velocità più basse. Carlos aveva bisogno di calciare la punizione lontano dalla porta per poter colpire la palla con una forza sufficiente a raggiungere la velocità della turbolenza caotica e perché la palla avesse poi il tempo necessario per rallentare e virare a sinistra prima di finire fuori campo. Quando la palla viene calciata a circa 110 chilometri all’ora, il flusso d’aria che la circonda è caotico, ma a circa metà del suo volo, rallenta e la turbolenza cambia. I freni vengono tirati, la rotazione della palla comincia a farsi sentire e Barthez rimane lì a guardarla mentre entra nella sua porta”.
Una magia che gli è valsa, nel corso degli anni, il soprannome di “Hombre Bala”, o “Uomo Proiettile”. Brevilineo, esplosivo come pochi, il suo sinistro era letale dalla distanza – specialmente sui calci piazzati, che potevano raggiungere la strabiliante velocità di circa 150 km/h.
Roberto Carlos e il Brasile
Agli onori raccolti dalla carriera per club, si aggiungono quelli in Nazionale verdeoro: indissolubile la sintonia formata con Ronaldo il Fenomeno, tra scorribande sia dentro che fuori dal campo. Una vita di eccessi per un calciatore esagerato dal punto di vista tecnico e atletico. Indimenticabile anche il binario della morte, con lui e Cafù a macinare campo sulla fascia. Con la Seleçao però, non fu sempre rose e fiori: l’eliminazione in Copa America del 1993 gli costerà la convocazione e la successiva vittoria assieme ai suoi compagni ai Mondiali 1994. Una soddisfazione che il terzino dei blancos si toglierà 8 anni dopo, in Corea e Giappone, con la vittoria in finale sulla Germania (2-0). In mezzo, la dolorosa sconfitta in finale mondiale contro la Francia nel 1998.
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L'addio al calcio e la carriera da allenatore
Nel 2007 Roberto Carlos dice addio al Real, inseguendo una nuova avventura in Turchia: per il Fenerbahce realizzerà 10 gol in 104 gare. A 36 anni quindi, non resta che tornare in Brasile: raggiungerà il compagno Ronaldo al Corinthians per una parentesi di due anni. Sono gli ultimi fasti di una carriera gigantesca, poi scemata tra Russia (alla corte del Anzhi) e India (Delhi Dynamos).
L’Uomo Proiettile appenderà gli scarpini al chiodo a 42 anni. La sfrenata passione per il calcio però, continuerà a comandare la sua vita: la leggenda del Real ha infatti cominciato ad assumere incarichi d’allenatore mentre giocava all’Anzhi – si prestò al ruolo di vice. In Turchia si è seduto sulla panchina di Sivasspor e Akhisar Belediyespor, conquistando un 5° e un 12° posto in Superlig. Poi una breve parentesi in Qatar, alla guida dell'Al-Arabi, per poi riprednere a giocare in India. Dal 2016 è tornato al Real come collaboratore tecnico della cantera.
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Roberto Carlos, le migliori frasi
Le difficoltà al'Inter
"Mi è venuta la pelle d’oca a Napoli al secondo gol dei nostri avversari. Lo stadio è esploso, i giocatori si baciavano la maglia, si baciavano fra di loro. Era gioia, era festa. Quando ho segnato io, due abbracci e via. Questa è la differenza".
Hodgson e l'addio all'Inter
"Hodgson mi ha distrutto. Mi faceva giocare a centrocampo. Non avevo chance di giocare per la nazionale brasiliana in quel modo e c'era la Coppa America in quell'anno, nel 1997. Non è che non andassimo d'accordo, è che Hodgson non sapeva molto di calcio. Così parlai col presidente Massimo Moratti e chiesi di andare via".
L'amicizia con Ronaldo
"Ho conosciuto Ronaldo nel 1993. E sono sempre stato nella stessa stanza con lui. Ho dormito più volte con Ronaldo che con mia moglie".
Gli eccessi dello spogliatoio sotto Vanderlei Luxemburgo
“Dopo cena portavamo sempre tanta birra e vino, a tavola c’erano sempre almeno due bottiglie. Io e Ronaldo gli dicemmo: ‘Professore, qui la gente ha le sue abitudini, se ne accorgerà ma non provi a cambiarle. Non tolga vino e birre, altrimenti avrà problemi’. E lui che fa? Prima toglie le birre e poi il vino. È durato tre mesi. Il mondo del calcio è piccolo, le notizie arrivano alla dirigenza…e ciao”.
Le sfide con Ronaldinho
“Quando Ronaldinho mi puntava, io ridevo… Ero felice, perché vederlo mi faceva stare bene. Amavo farmi attaccare, perché ogni volta non sapevo cosa aspettarmi, quindi nella mia mente fantasticavo. Ho vinto pochi duelli con lui, ma va bene lo stesso. Sapevo che mi saltava in qualche modo, ma mi divertiva. Affrontarlo, era come vedere in Tv il tuo film preferito, in una serata di pioggia. Era come uscire con una ragazza al primo appuntamento. Se devo usare una parola per descriverlo, dico…’Felicità’.”