Tra i regni di Eusébio e di Cristiano Ronaldo, nel Portogallo del calcio c'è stato un Principato retto da un signore elegante, fiero ma umile, maestro di danza sul terreno verde, disegnatore di arcobaleni e dispensatore di sogni. Quella di Rui Manuel César Costa, noto all'universo mondo semplicemente come Rui Costa, è stata un'era in cui il gesto era un tutt'uno con la finalizzazione, la forma con la sostanza, la causa con l'effetto.
Il 29 marzo ricorre il Natale di questo Messia del pallone, mandato da qualcuno di infinitamente amorevole a mostrarci la retta via del giuoco del calcio. A ritmo e passo di Fado, il "Fato" masticato alla portoghese che indica con le note la "destinazione" a ogni orecchio. Una musica della tradizione lusitana, malinconica e nostalgica, che si infrange come Oceano sugli scogli del Fandango, la danza simbolo di quel Ribatejo che guarda negli occhi la Lisbona dove Rui Costa è nato e cresciuto, tra le comunità caiçaras di uomini di mare del litorale. Un talento troppo grande per non riempire il mondo, come dimostrano le esperienze indimenticabili alla Fiorentina (dal 1994 al 2001) e al Milan (dal 2001 al 2006).
Oggi "Il Maestro", come sarà sempre soprannominato, è un dirigente del Benfica, la squadra del cuore e dello svezzamento. Il portamento non è cambiato di una cellula, lo sguardo neanche. Trequartista per genetica e vocazione, per sempre.
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Gli inizi di Rui Costa: nel segno del 10
La luce del calcio si rivela un giorno di fine marzo del 1972, a pochi isolati dal Padrão dos Descobrimentos di Belém che annusa il blu della vastità atlantica. Sole e salsedine gelida dell'Oceano in fronte, il piccolo Manuel tira i primi calci al pallone nei vicoli e nelle viuzze e colorate della sua città. Ogni tocco, ogni palleggio è un virtuosismo alla Mozart, genio precoce come il nostro piccolo portoghese. A Damaia, quartiere popolare nel comune di Amadora, distretto di Lisbona, gli vogliono tutti bene. Figlio unico, perché i soldi non sono tanti, vive nella stessa casa dove lo zio ha il negozio di ciabattino.
Il grande calcio bussa alla sua porta quando ha solo 5 anni, per intuizione di quell'Eusébio che regnava incontrastato nelle idolatrie dei portoghesi fino a un pomeriggio di marzo del 1982. Manuel ha 10 anni meno due settimane quando posa i tacchetti su un campetto senza erba, seguito dallo sguardo delle leggenda del calcio del suo Paese, in osservazione al di là della recinzione. Deve convincerlo se vuole entrare nelle giovanili del Benfica. Gli dei del calcio sanno essre bizzosi e fanno cominciare il provino proprio alle 10 di un mattino dolcissimo.
Nella testa di Manuel c'è un solo numero: 10. Ha 10 secondi per impressionare tutti, 10 tocchi per arrivare in porta, 10 possibilità su 10 di riuscire a ottenere la numero 10 della sua squadra del cuore. Eusébio viene conquistato però al primo tocco: un pallonetto che mette fuori causa due avversari nello stesso momento. I successivi tre tocchi seminano altri tre ragazzini, mentre il piccolo Rui Costa non tradisce la benché minima emozione. Lo sguardo riempie il campo, è dappertutto, vede tutto e prevede tutto. In 10 secondi va in gol, modifica lo spazio tempo di un campetto di periferia in una Via Lattea di talento.
Eusébio non ha parole, anzi solo una: "Preso". Lui la fantasia la capisce e la mette al potere. Dopo altri 10 minuti, alle 10:10, Rui Costa è un giocatore delle giovanili del Benfica. Il debutto in prima squadra arriva quasi 10 anni dopo, nel 1991, dopo una parentesi importantissima nel Fafe, nel distretto di Braga, squadra in cui rimedia l'unica espulsione della sua carriera assieme a quella subìta durante un Portogallo-Germania del 1998, valido per la Qualificazione al Mondiale di Francia. Con lui il Fafe, manco a dirlo, viene promosso dalla Terceira alla Segunda Divisão. I tempi sono maturi per passare da raccattapalle a giocatore del suo Benfica. A lanciarlo in prima squadra è un'altra vecchia conoscenza Sven-Göran Eriksson.
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La carriera di Rui Costa
In tre stagioni Rui Costa vince una Coppa del Portogallo (1992-1993) e un Campionato portoghese (1993-1994). I tifosi del Benfica e gli appassionati di tutto il mondo si innamorano della sua capacità di correre e danzare a testa alta, come un Principe, mentre gli occhi ardono di bramosia per la palla, quasi avesse paura di perderla di vista. Il mondo si innamora anche dell'indole di Manuel, un genio senza sregolatezza, con le idee che gli arricciano la chioma, esempio di duro lavoro e pacatezza anche fuori dal campo. Un poeta un po' tormentato, che sembra costantemente mosso dalle note amlinconica di quel Fado che ne ha accompagnato i passi tra le taverne e i bassi della sua Lisbona.
In mezzo il Mondiale Under 20 del 1991 che si tiene in Portogallo e che Manuel gioca e vince da protagonista. Al suo fianco c'è giusto qualche giocatorino: Figo, Peixe, João Pinto. La finale allo stadio "Da Luz", nella sua Lisbona, davanti a 130mila tifosi, contro il Brasile di Élber e Roberto Carlos, è un sogno che si fa cuoio ed erba. La qualità è altissima e nessuno riesce a far gol nei tempi regolamentari. Si va ai rigori. La palla decisiva attende la carezza di Rui Costa, che non manca allì'appuntamento col "Fado", col destino.
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Fiorentina
Il 1994 è un altro anno cruciale, che segna il passaggio del trequartista più talentuoso di Lusitania alla Fiorentina. Passaggio che aveva rischiato fino all'ultimo di tingersi di blaugrana. Alla fine il Franchi ha vinto sul Camp Nou, Palazzo Vecchio sulla Sagrada Familia. Cecchi Gori sborsa 11 miliardi delle vecchie lire per portarlo sotto la Fiesole, Rui Costa va a giocare nel campionato che considera "il più bello e competitivo del mondo".
I calzettoni viola abbassati, i piedi che piroettano come note sullo spartito. Nel 1996 vince la Coppa Italia, segnando due gol e contribuendo con vari assist alla conquista del trofeo. Nello stesso anno arriva anche la Supercoppa italiana, con la vittoria in trasferta sul Milan per 2-1. Nel 1998-1999 Manuel mette a segno 10 gol (secondo miglior marcatore della Fiorentina) e contribuisce alla grande al raggiungimento del terzo posto dei viola.
Nel 2000 arriva a giocare la Champions League, segnando due gol in 14 presenze. Dopo l'addio di Gabriel Batistuta, Rui Costa divenne il capitano della Fiorentina. Da capitano della formazione gigliata vince un'altra Coppa Italia nel 2001. La Fiorentina è invischiata nel vortice dei debiti societari ed è costretta a sacrificare i suoi diamanti. Manuel compreso.
Milan
A puntare sul Maestro è il Milan di Berlusconi, che mette sul piatto la cifra record di 85 miliardi di lire. La numero 10 ben salda sulle spalle, con fior fior di campioni in squadra. Ma lui è senza dubbio il trequartista più forte d'Europa in quel momento. Nelle prime tre stagioni in rossonero gioca da titolare quasi inamovibile, il primo anno alle spalle di due punte e nei due successivi in coppia con Rivaldo e poi con Kaká dietro a un'unica punta, nell'ormai celeberrimo modulo ad "albero di Natale".
Col Diavolo Rui Costa conquista l'agognata Champions League (2002-2003), una Coppa Italia (2002-2003), una Supercoppa Europea (2003), uno Scudetto (2003-2004) e una Supercoppa italiana (2004). In tutto col Milan disputa 192 partite e segna 11 reti.
Il ritorno al Benfica
In chiusura di carriera sul campo, il genio di Lisbona sente il bisogno di giocare a casa sua. Il 23 maggio 2006 risolve il contratto col Milan e consuma un clamoroso ritorno al suo Benfica. In occasione della partita contro i rossoneri della fase a gironi dell'edizione 2007-2008 della Champions League, giocatasi il 18 settembre 2007, Rui Costa viene accolto da San Siro con cori e applausi. Perché, come insegna l'esempio del mitologico Roby Baggio, i grandi campioni si osannano e si rispettano anche quando vestono altre maglie.
Dopo due stagioni, l'11 maggio 2008 Manuel gioca la sua ultima partita con la maglia del Benfica. Comincia un'altra straordinaria avventura con il prato verde sempre negli occhi, stavolta da lontano, come dirigente. Il 9 luglio 2021 viene nominato presidente del club, sostituendo Luís Filipe Vieira, arrestato con l’accusa di frode fiscale e riciclaggio.
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Ben Hur, Platini, Baggio: 10 curiosità su Rui Costa
1. Ben Hur e Platini
Sul muro della cameretta il giovane Rui Costa ha due poster: quello di Ben Hur, il suo film preferito, e quello di Michel Platini, il suo calciatore preferito.
2. La maglia di Baggio
Nella stagione 1992-93, il ventenne Rui Costa è a Torino per giocare la partita di ritorno dei quarti di finale di Coppa UEFA del suo Benfica contro la Juventus. Con quei bianconeri non c'era storia: la Vecchia Signora sta vincendo 3-0 e mancano pochi minuti alla fine della gara. I due numeri 10 specchiano il proprio talento in quello dell'altro, come lampi meravigliosi in una notte stellata. Quando Baggio viene sostituito, Rui smania: vuole assolutamente avere la sua maglia. Lui è ancora in campo, ma guarda nervosamente verso la panchina juventina, cercando una prelazione sulla casacca del Divin Codino. Manuel arriva a giocare stabilmente su quella fascia per non perdere di vista Baggio un solo secondo. Ha paura che qualcun altro scambi la maglia con la sua. Il triplice fischio è liberatorio: Rui corre da Baggio e ottiene l'ambito premio. Da quel giorno, ogni volta che sin sono affrontati in una partita, i due fantasisti si sono sempre scambiati la maglia.
3. Il Torneo Rui Costa
Al Maestro, la sua primissima squadra giovanile di Lisbona ha dedicato il "Torneio Rui Costa", che ha superato le 25 edizioni. In quel Damaia Ginásio Clube il trequartista aveva trascorso 9 anni, alternando calcio e hockey su pista. Poi arrivò il grande salto nella squadra del suo cuore.
4. La prima (e la seconda) parola
La prima parola in assoluto del piccolissimo Rui è stata “gol”. La seconda, “Benfica”.
5. Ossessione Benfica
Proprio il Benfica ha da sempre rappresentato un'autentica ossessione per Manuel, che a 16 anni viene ricoverato in ospedale per un’appendicite,. Quella sera, però, le Águias devono giocare la semifinale di Coppa Campioni contro lo Steaua Bucarest. Rui Costa scambia la sua cartella clinica con quella del compagno di stanza, i cui esami sono negativi. Viene dimesso, corre a vedere la partita alla tv. Il Benfica vince due a zero, e a ogni gol esulta come un pazzo. E vomita.
6. La quasi presentazione col Barcellona
Quando nell'estate del 1994, il Benfica riceve le lusinghe del Barcellona per portare in Catalogna il gioiello di Lisbona, succede l'impensabile. Un'altra leggenda del calcio, Crujff, lo vuole a tutti i costi in blaugrana. È tutto fatto, Manuel posa perfino nella foto di rito con la maglia del Barça. Ma non era destino, non era Fado: il Benfica cambia presidente e l'accordo salta.
7. Indole da Maestro
Maestro Rui Costa lo era nel DNA. I suoi compagni raccontano che da calciatore leggeva libri e romanzi, drammi teatrali e manuali di storia, per "compensare" l'interruzione degli studi per correre dietro al pallone. Sarà lo studio, sarà l'indole o il talento, Rui Costa insegnava anche da zitto e fermo. A fine carriera confesserà di aver sempre fumato e di non averlo mai rivelato “per non dare un cattivo esempio ai giovani”. Quando gioca al Milan dà consigli a Kakà, che poi dirà: “C’era un rapporto come tra professore e alunno”.
8. L'importanza di Malesani
Tra i grandissimi tecnici dai quali è stato allenato, Rui Costa riserva un posto speciale nel cuore e nella mente per Alberto Malesani. Nel 1997-98, alla Fiorentina, il mister guida una squadra che arriva quinta in Serie A TIM. Rui Costa viene folgorato, trasformato dai dettami del suo allenatore. Più che con chiunque altro. "Prima di conoscerlo avevo un difetto, scattavo senza sapere dove sarebbe andata la palla", racconterà a fine carriera. "Malesani un giorno fermò l’allenamento e mi disse: 'Credi di avere gli occhi alla nuca?'. Da allora non ho più sbagliato".
9. Le parolacce
Durante il primissimo allenamento con le giovanili del Benfica, il mitico Eusébio cacciò dal campo Manuel perché aveva detto una parolaccia. Oltre la recinzione c'era suo padre e Rui uscì dal campo zoppicando. Preferiva di gran lunga fingere un infortunio piuttosto che confessare al genitore di essere stato scurrile.
10. La filosofia del 10
Il punto numero 10 non poteva essere che dedicato al 10. Nell’autobiografia pubblicata alla fine degli Anni Novanta, "Il mio 10 per Firenze", Rui Costa ha delineato la filosofia del numero 10 che l'ha sempre accompagnato come un mantra. “Mi sono spesso chiesto se si può essere felici quando si corre dietro ad un pallone. No, non può bastare; però se a questo si aggiunge che la salute è buona, che accanto si hanno una donna splendida e un bambino meraviglioso, che i tuoi genitori ti sono sempre stati vicini e che le tue città si chiamano Lisbona e Firenze, allora è impossibile non essere felici".