Le conseguenze del livore, si spiegano così certe esultanze da ex. La verità è che siamo talmente abituati all’ex che non festeggia un gol e anzi si scusa (ma di che?), che ci stupisce l’esultanza di Zaniolo all’Olimpico. Esultanza sfrenata, rabbiosa, covata dentro da tempo. Legittima? Inopportuna? Hanno tutti ragione, quando alla ragione si antepongono i diritti del cuore. Quello di Zaniolo, quello dei tifosi. L’argomento è delicato, ma forse risultano un po’ artefatti quei calciatori che si intristiscono dopo un gol alla loro ex squadra, fissano un punto qualunque a terra, si lasciano sommergere dagli abbracci senza dare segni di vita, alzano le braccia per scusarsi come se avessero fatto la pipì in piazza e offrono alla telecamera l’espressione più addolorata del loro repertorio. Il calcio in fondo è gioia, o no? Era gioia quella di Ronaldo il Fenomeno, quando - vestendo la maglia del Milan - segnò un gol all’Inter. Se la prese molto, il suo vecchio popolo. Dall’adorazione alla frustrazione, così i tifosi nerazzurri: con il sospetto di essere presi per i fondelli. Era il marzo 2007 e Ronaldo esultò alla sua maniera, facendo oscillare l’indice della mano destra e spalancando il celebre sorriso. Gli diedero - va da sé - del traditore.
La storia dei tradimenti è nota: Josè Altafini divenne "Core ‘ngrato" - dal titolo di una canzone napoletana dedicata all’amore non corrisposto - per un gol segnato - da juventino - al Napoli, un gol che tolse lo scudetto (stagione 1974-75) alla squadra allora allenata da Luis Vinicio e che Josè festeggiò da par suo. Del resto: quel gol valeva il titolo, perché astenersi? E dunque: ci sono ex che dopo il gol fanno una smorfia e scivolano nell’abisso della solitudine: si sono liberati di un peso e a noi testimoni non resta che registrarne il sollievo. Altri che invece, come si dice, non vedevano l’ora. Il gol di Ibrahimovic in un Milan-Barcellona di Champions del novembre 2011. Per tutta la vigilia assicurò che non cercava rivincite, che il passato era passato e via di fuffa. Poi segnò, si mise in posa per la Storia, alzò le braccia al cielo, indurì la mascella ma sotto i muscoli palpitava tutta la sua soddisfazione. E non degnò d'un solo sguardo il suo Grande Nemico, Pep Guardiola, l’allenatore con cui a Barcellona aveva avuto parecchi (ehm ehm) confronti. La rabbia in corpo. E il veleno che scorre. Quando Mattia Destro - allora centravanti del Bologna - realizzò all’ultimo minuto di gioco un calcio di rigore che permise ai rossoblù di pareggiare una sfida casalinga con la Roma (novembre 2015), si tolse la maglietta e corse a perdifiato lungo tutto l’arco di pista sotto la curva del Dall’Ara.
Era diffidato, sapeva che sarebbe arrivata l’ammonizione e la squalifica, ma non se ne disse pentito: "Ne valeva la pena", ammise, forse pensando al trattamento ricevuto dal club giallorosso. La vendetta, si sa, è un piatto che va consumato, caldo o freddo poco importa. Ecco allora l’interista Osvaldo che dopo un gol all’Olimpico (novembre 2014) porta l’indice al naso e zittisce i suoi ex tifosi, ecco il rossonero Pippo Inzaghi (marzo 2003) che mette a referto un gol contro la Juventus e poi esulta alla Inzaghi, come se quello fosse - ma è la grande forza di Pippo - il gol che decide le sorti del mondo, ecco quindi il brasiliano David Luiz che in una sfida di Champions (marzo 2015) tra Chelsea e Paris Saint Germain, segna il gol del pareggio per i francesi e affronta Stamford Bridge. Corre sotto la curva, lancia sguardi di sfida ai suoi ex tifosi, poi si inginocchia e cede ad un pianto liberatorio. Qualcuno - a fronte di certe esultanze - tira in ballo il rispetto (mancato), altri la provocazione (cercata); resta il fatto che quando un ex segna alla sua ex squadra l’effetto (sbagliato) è sempre quello della pugnalata a tradimento.
Febbraio 2018: Bernardeschi (da juventino) segna (a Firenze) un gol su punizione alla sua ex squadra. E poi no, non si contiene. E fa festa. Qualche volta bisogna considerare il pregresso. Lo strappo con Firenze era stato violento. Aveva dichiarato Bernardeschi: "Sarebbe difficile andare alla Juventus dopo 11 anni di settore giovanile viola. Prima viene la Fiorentina, poi Bernardeschi". E infatti andò alla Juve. E non gli venne mai perdonata quella frase. Certo è che bisogna entrare nelle teste dei calciatori. Non si spiega altrimenti l’irrefrenabile gioia con cui Hernanes festeggiò la doppietta realizzata in un Lazio-Inter (maggio 2015) che pesava molto nella corsa all’Europa. Il brasiliano - che all’epoca era all’Inter dopo le sue stagioni in biancoceleste - dopo il primo gol fece seguire il suo marchio di fabbrica, ovvero la capriola. E giù fischi. Quando più tardi segnò il gol della vittoria pensò bene di stendersi a terra, aspettando l’abbraccio dei compagni. Scandalo, polemiche, accuse di tradimento. Hernanes a fine partita si scusò, giurò che non voleva offendere nessuno, spiegò che gli era venuto naturale. Non gli credettero. Eppure: era la parola del Profeta.
Ci sono i conti in sospeso. Ne aveva Maurito Icardi quando in un Sampdoria-Inter (aprile 2014) rifilò una doppietta ai suoi ex compagni blucerchiati. I tifosi della Samp l’avevano insultato fin dall’ingresso in campo, in fondo quella partita si presentava come una resa dei conti - appunto - in cui si sfidavano due protagonisti (Icardi e Maxi Lopez) del “triangolo” più celebre di quel periodo, quello composto dai due argentini e da Wanda Nara, che aveva mollato uno per fidanzarsi con l’altro. Icardi dopo i gol portò le mani all’orecchio, come a dire: "Non vi sento!".
Fonte: Gazzetta.it