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Calcio

Spagna in verticale, l'Italia giochista e... Tradizioni ribaltate all'Europeo

Pierluigi Pardo
Spagna in verticale, l'Italia giochista e... Tradizioni ribaltate all'EuropeoN/A

Mica è solo il calcio. No. È proprio cambiato il mondo. Guzzanti e l’aborigeno. ("Io e te, che se dovemo dì?"). Ecco, oggi ogni conoscenza è in rete, tutto è disponibile, modificabile, reinterpretabile. Puoi imparare a cucinare un’ottima carbonara pure a Sydney (a patto di trovare il guanciale giusto). Che cosa c’entra con l’Europeo? C’entra. Perché in questo mondo qui, iperglobalizzato, tutto cambia, si mescola, in qualche caso si assomiglia, e il football, la più potente e pop fra le arti non può fare eccezione. Questo Europeo ne è già ennesima riprova.   

Quando ero bambino io (non era ieri, lo so, ma piano con le battute) i tedeschi li chiamavamo panzer. Erano tutti, tranne Littbarski, dei signori statuari, generalmente biondi, con muscoli e cosce gigantesche, che imponevano quasi sempre il loro stile di calcio “Sturm und drang” basato su una potenza fisica indiscutibile, un livello di concentrazione assoluto e una clamorosa essenzialità. Semmai difettavano in fantasia e infatti spesso andavano in affanno contro chi, come noi, era capace a fare l’esatto opposto, rompere lo schema, rovesciare il canovaccio e costringerli a cercarsi un piano B. Oggi no, complice anche una società più aperta con influenze e provenienze diverse, il calcio tedesco è diventato qualcosa di completamente differente. La Deutsche Mannschaft sa imporre calcio con uno stile fantasioso, sfrontato e immaginifico. L’esordio contro la Scozia, al netto delle fragilità del Tartan Army, ne è stata l’ennesima dimostrazione. La qualità tecnica di Musiala, Wirtz e Havertz è abbagliante. Lo “Zeitgeist” adesso è proprio questo: talento e creatività.

Anche noi siamo anni luce distanti dal nostro stereotipo più grande, quello di un calcio perennemente furbo e speculativo. Spalletti con la sua concezione estetica amplifica questa filosofia. In alcuni tratti del primo tempo di Dortmund si è vista la ricerca della qualità e del controllo attraverso la tecnica. I due centrali di difesa con buoni piedi e testa alta sono un manifesto preciso di quello in cui Spalletti crede e che questa squadra può provare a rappresentare. Muovere il pallone da destra a sinistra per cercare gli “spigoli”, come li chiama lui, farlo con personalità e coraggio, questa è la strada soprattutto contro chi si chiude, perché se ti tolgono profondità in verticale allora vanno “aperti” orizzontalmente attraverso un possesso veloce, paziente e di qualità, cercando lo spazio giusto che prima o poi arriverà. Un cambio di mentalità, quello del calcio italiano, che in realtà parte dal basso e da qualche tempo. 

Piace vedere allenatori del lato destro della nostra Serie A che provano a imporre uno stile di gioco dominante e identitario, squadre italiane che vanno in giro per l’ Europa e provano a giocarsela sempre, anche a costo, come avvenuto in qualche dolorosa circostanza, di sbagliare. Per Spalletti e la Nazionale questa sembra la strada obbligata, essenziale per provare a colmare la distanza verso le migliori, che sembra oggettiva, certo, ma non incolmabile.  

Stesso discorso per gli inglesi che dal centrocampo in su hanno, o forse è meglio dire avrebbero, la stessa capacità di immaginare cose grandi e divertenti, distanti dall’ortodossia del 4-4-2 e del long ball tipico della loro tradizione. Come sempre, e lo si è visto benissimo nella sofferta vittoria contro la Serbia, il loro principale nemico resta l’ansia da prestazione che si portano dietro più o meno dall’estate del 1966.  Ancora, la Spagna, patria del tiqui-taka, per la prima volta contro la Croazia dopo 16 anni ha perso la sfida del possesso palla, chiudendo col 46% e in termini di expected goals è stata inferiore agli avversari. Risultato finale? Lo sappiamo tutti. Una vittoria squillante ottenuta attraverso una dottrina più dialettica e verticale nel nome dell’unica vera certezza, quella che i grandi allenatori imparano da sempre: non c’è una sola strada per vincere. Esistono interpreti e avversari, aree di forza da esaltare e difetti da nascondere. La bellezza feroce di questo gioco sta essenzialmente nel suo essere contradditorio.  

Fonte: gazzetta.it