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Ciclismo

Viva la Roubaix e il pavé, per dimenticare la settimana nera del ciclismo

Francesco Ceniti
Viva la Roubaix e il pavé, per dimenticare la settimana nera del ciclismoN/A

Che gli dèi del ciclismo siano con loro… Ne hanno bisogno i 175 corridori iscritti alla Parigi-Roubaix, l’inferno fatto corsa. Ne hanno bisogno in una domenica bestiale che promette spettacolo nei settori di pavé (sono 29 per quasi 56 chilometri da percorrere sul ciottolato) pronti a trasformarsi in uno stadio itinerante. Ne hanno bisogno dopo una settimana nera, che ha sconvolto il gruppo, decimato da tremende cadute e scosso da dilemmi e domande sulla questione sicurezza. Da sempre gli imprevisti e gli infortuni fanno parte del loro mondo, da sempre la malasorte è stata uno spartiacque tra gloria e sconfitta, ma la mattanza degli ultimi giorni è qualcosa di particolare. Come foglie al vento, sono caduti i campioni più attesi: Van Aert, Evenepoel, Vingegaard, Roglic, l’unico a riportare “solo” un carico infinito di escoriazioni. Per gli altri stagione stravolta e obiettivi da rivedere.

E adesso arriva la Roubaix, con il suo carico di sofferenze, dove cadute e scivolate fanno parte della trama, dove il fango diventa protagonista, dove i ciclisti arrivano al traguardo con la faccia così sporca da sembrare dei Rambo del pedale, dove anche i miti perdono pazienza e self control. La si può amare all’infinito (il nostro Francesco Moser flirtava con le pietre che era una bellezza: tre successi di fila) oppure la si odia con tutta l’anima. Bernard Hinault riuscì a domarla nel 1981 e dopo l’arrivo apostrofò la gara con la stessa parola (m…) usata dal generale Cambronne per rispondere agli inglesi che gli intimavano la resa a Waterloo. Sarà un caso, ma la Roubaix (prima edizione 1896) parte da Compiègne (80 chilometri a nord di Parigi) dal 1977. 

È il paese dove fu arrestata Giovanna d’Arco, ma soprattutto dove svetta il Palazzo di Napoleone, lo stesso in cui Genova firmò il trattato che cedeva la Corsica alla Francia. Da lì inizierà una vera e propria avventura: spesso la missione è solo sopravvivere. Il rumore delle bici lanciate sulle pietre può essere poesia o terrore, dipende dai punti di vista, ma la Foresta di Arenberg resta il passe-partout del trionfo anche nella nuova versione, con la chicane messa prima dell’ingresso sul pavé per ridurre la velocità. Van der Poel, il campione del mondo super favorito, l’ha definita “uno scherzo”. Certo, dopo gli ultimi incidenti, sarebbe clamoroso se proprio la novità pensata per evitare guai, li provocasse.

Ecco perché la speranza di tutti è che gli dèi del ciclismo siano dalla parte dei corridori. E magari aiuteranno la pattuglia coraggiosa d’italiani (in tutto 9) come nel 2021, quando nel velodromo di Roubaix risuonò l’inno di Mameli dopo la vittoria di Sonny Colbrelli. Le nostre speranze sono affidate a Milan, Mozzato (secondo al Fiandre) e Bettiol: tre moschettieri azzurri in terra di Francia. Vincere da quelle parti significa scrivere la storia. Provateci.

Fonte: gazzetta.it