Quanta polvere, sul baule dei ricordi. In tutti questi anni nessuno ha osato toccarlo: non è mai stato tempo, non ce n’è mai stato. Troppo importante, la gara successiva. Sempre decisivo, quel weekend in arrivo. Qualcosa da aggiustare, traguardi da celebrare, l’assetto, le gomme, i primi giri, le qualifiche, le speranze di rimonta e l’ingenuo tentativo di combattere ancora contro tutti. Ma soprattutto contro il tempo.
Vale Rossi dice basta ed è un’ammissione candida. Lo fa con la purezza della realizzazione, di un prodotto ragionato e sopravvissuto anche alla più feroce fase della negazione. Neanche nei suoi sogni scappa veloce verso la bandiera a scacchi: il tempo giusto ora è quello che prenderà per sé. E per i suoi ragazzi, e per la scuderia. Si è creato un cordolo dell’età adulta, in qualche modo, seppur sbandando, lo terrà ancora in pista.
Rossi contro il tempo
Non sarà lo stesso e non lo sarà per nessuno. Perché il Quarantasei ha condizionato così tanto la vita di tutti che neanche paragoni illustri potranno rendergli giustizia. Vale forse le lacrime di Baggio, del suo addio a San Siro. Vale i brividi vissuti nelle ultime settimane per Federica Pellegrini. Vale lui, e Vale più di tutti. Perché più di tutti e non solo nel motorsport è stato un sentimento unanime, il racconto di una gioventù “durata”. La spensieratezza della domenica, stagioni di ragazzi nonostante vite che cambiano e di una leggerezza non più della dimensione di stati d’animo, ma solo di attimi. Belli e così fugaci. Come l’eccitazione per un sorpasso a cui accorpi la paura della risposta.
Rossi è stato il campione più talentuoso e il talento più duro da battere per le leggi dell’umano invecchiamento. Traditi, tutti noi, anche dallo sguardo vivo e mai cambiato, spigliato, attento, tagliato per cogliere l’attimo. A illuderci fino in fondo, a farlo probabilmente anche con lui, le prestazioni da pilota vero, le nuove occasioni del destino e quelle che Rossi ha provato a costruirsi attraverso il lavoro e l’esperienza.
Con il tempo ha perso l’esuberanza e ci è sembrato naturale, più vicino a una dimensione terrena. Non ha mai perso l’entusiasmo e ci è sembrato incredibile, da invidiargli un po’ i pensieri. Come per tutti, Vale ha dimostrato che i giorni che passano sono come onde contro scogli: si prendono un pezzo di te, in maniera impercettibile eppure inesorabile.
Le tre generazioni
Le reazioni, così sentite e così diverse, sono il simbolo della grandezza che colpisce anche chi è più lontano. Sono lacrime di commiati. Sospiri di sollievo. Racconti privati, di vita vissuta, un fiume di “dov’eri quando?” e dove e quando arriverà un’altra emozione così forte. L’addio di Rossi tocca nel profondo perché si spegne una certezza e fa più male poiché è nostalgia impossibile da calmare, neanche con un cucchiaio di raziocinio. Non in un attimo, almeno. Non subito e nemmeno con tutto questo rosa sul futuro lì, a due staccate, all’orizzonte della nuova era.
Metà dei piloti che oggi corrono contro Vale non erano ancora nati al suo debutto, nel ’96. L’altra metà è cresciuta ugualmente con il suo mito, innamorandosi degli occhi furbi e della personalità, studiando traiettorie e sgasate e persino gli scontri. Biaggi, Capirossi, Gibernau, Stoner, Lorenzo, Marquez. Tutti pezzi della Storia, maiuscola, e mille tentativi di sovvertirla.
Verrebbe da dire che nessuno ce l’ha poi fatta davvero. Che a battere Valentino, in fondo, è stato e poteva essere solo il tempo. Pure dopo mille riprese. Sorpassi. Controsorpassi. Giri veloci e attese snervanti – specialmente dopo gli infortuni - per ritornare in sella. Rossi, versione pilota, è stato una rivoluzione di vita più che una lezione: ha accelerato quando gli altri dovevano frenare, ha visto l’opportunità di guidare lì dove sembrava inevitabile seguire una scia. E ha influenzato, condizionato, inorgoglito, reso felici. Riuscendo nella vera impresa, oltre i vent’anni di vittorie: dare un senso a tutto, anche al suo addio.
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