È il 21 luglio 2020. Il Milan sta vincendo a Reggio Emilia contro il Sassuolo, trascinato da una doppietta di Zlatan Ibrahimovic. Ma, negli ultimi minuti della partita, gli occhi dei giornalisti non vanno più al campo.
Sono tutti al telefono, alla caccia di una fonte che confermi un’indiscrezione clamorosa. Ivan Gazidis si è convinto a ribaltare una strategia già approvata da tempo, quella che prevede l’arrivo di Ralf Rangnick in rossonero a partire dalla stagione successiva. Il ritorno in campo del Milan dopo il drammatico stop di tre mesi e l’attento lavoro ai fianchi di Paolo Maldini lo hanno convinto a confermare Stefano Pioli.
L’allenatore che dopo un avvio difficile è riuscito a trovare la quadra con una striscia di nove risultati utili consecutivi (saranno 12 a fine stagione). La voce si diffonde al Mapei Stadium e nel post-partita giunge la conferma. Pioli ha convinto, rimane e da lui il progetto rossonero ripartirà anche per la stagione successiva.
Sembra un colpo di calore frutto dell’umida estate emiliana, non è così. A pensarci ora, viene da sorridere. Perché proprio lì, a pochi passi da casa, Pioli è riuscito a chiudere un cerchio enorme nella propria carriera. Nemmeno due anni dopo quella conferma, il Milan è campione d’Italia. On fire, espressione resa quanto mai attuale anche dalle temperature a dir poco estive.
Il fuoco dentro
Non è questa la sede per esplorare a fondo le ragioni di questa riscossa casciavit. Siamo qui per prendere atto e ritrovare i bandoli di una matassa fatta di cerchi concentrici, quei cerchi che Pioli ha chiuso uno ad uno sulla strada del primo successo in carriera.
Perché sì, il percorso per arrivare al primo titolo dell’allenatore rossonero è stato lungo venti stagioni da allenatore. Quanto basta e avanza per essere bollato a vita con la sigla di perdente, specie alle nostre latitudini.
Un viaggio lungo e doloroso che, come si ricordava sopra, ha rischiato di deragliare ben presto anche con il Milan. Basta pensare che Pioli si è affacciato al dopo-Giampaolo con un record di soltanto otto stagioni completate su diciotto da allenatore. Dimissionario pochi mesi prima, esonerato dall’Inter nella precedente esperienza milanese (2017), allontanato dalla Lazio all’indomani di un derby perso (e dopo una qualifica ai preliminari di Champions League, 2016) per fare posto a Simone Inzaghi (ma questa è un’altra storia), silurato dal Bologna prima di spostarsi nella Capitale (2014) e, manco a dirlo, cacciato ancor prima dell’inizio di campionato da Maurizio Zamparini a Palermo (2011). Il totale fa cinque addii prima di fine stagione nei cinque club prima del Milan (7 in totale se si aggiungono Modena e Parma).
Con un inquietante dato comune che la dice lunga anche sulle abitudini del nostro calcio. Fatta eccezione della parentesi siciliana (fatale fu il Thun), tutti i suoi esoneri sono maturati dopo diversi mesi di lavoro. Non a bruciapelo, non dopo una partenza negativa. Sintomo di un lavoro lasciato a metà, in cui qualcuno ha smesso di credere alla prima difficoltà. Perché ovunque, sin dalla prima esperienza in Serie A nella sua Parma, si è vista la qualità del lavoro di Pioli.
Ma, si sa, crederci nei momenti complicati è altra storia. Non ditelo a Maldini, però. E, così, cinque anni dopo essere stato allontanato dall’Inter per fare posto sul finire di campionato a Stefano Vecchi, Pioli si toglie la soddisfazione di vincere lo scudetto proprio al termine di un duello da annali con l’Inter.
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Cerchi di fuoco
Quale sarà il reale valore di questo scudetto lo si scoprirà con il tempo. L’impresa, quanto meno ai tifosi rossoneri più anziani, ricorda molto da vicino la rimonta di Alberto Zaccheroni nel 1999. A differenza di quel ciclo, però, c’è l’unione magica tra dirigenza e staff tecnico. Qualcosa di speciale che diventa unico se si aggiunge all’equazione il rapporto con la tifoseria. “Pioli is on fire”, il coro sulle note di “Freed from desire”, ha messo d’accordo tutti.
Dai giocatori che hanno iniziato a cantarla nel pullman al ritorno di una trasferta all’inizio della stagione 2020-21, ai tifosi che ora ne fanno un momento chiave di ogni weekend allo stadio. E dire che in molti aspettavano al varco il Milan proprio per questo, per l’essere sbocciato nell’estate degli stadi vuoti, senza il timore dei fischi di San Siro. In quei mesi era nata la scintilla, nel 2022 si sono viste le fiamme.
Quello che serviva a Pioli e al Milan per chiudere una serie infinita di cerchi di fuoco. Pensate al punto più basso, Atalanta-Milan 5-0 (dicembre 2019). Pensate alla partita che ha messo il Milan con le mani sullo scudetto, Milan-Atalanta 2-0. Oppure al derby di ritorno, un ribaltone in tre minuti che ha risarcito Pioli della delusione della sua prima stracittadina in rossonero (4-2 per l’Inter, nonostante il Diavolo fosse stato avanti 2-0 all’intervallo) e ha allontanato ancor più la delusione del 2-2 incassato al 97’ da Cristian Zapata, quando ad allenare i nerazzurri era lui (2017).
La doppietta di Olivier Giroud ha aperto ufficialmente la crisi degli uomini di Inzaghi, il finale di stagione è invece stato un dolce “grande slam” tra le sue ex squadre. Dalla rimonta dell’Olimpico contro la Lazio fino alla marcia trionfare in casa Sassuolo, passando per l’1-0 sulla Fiorentina nel match che ha regalato a Pioli la certezza di avere il destino nelle proprie mani. Cerchi che si sono chiusi per lui e per il Milan. E già, questa volta Verona non è stata per nulla fatal…
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Freed from desire
Domare il fuoco è molto più complicato che accenderlo. Per questo, gli stessi che avevano bollato Pioli con la nomea di perdente ancora oggi lo aspettavano al varco. Il fuoco, specie se non hai mai vinto, alla lunga può bruciarti. Pioli, però, è riuscito a farselo amico. È stato innanzitutto uno stimolo a migliorarsi costantemente ad averlo portato sino a qui, al giorno della rivincita. Le squadre di Pioli hanno sempre giocato bene, ora sono divenute anche tremendamente ciniche (sette vittorie per 1-0, 17 cleen sheet e soltanto 9 gol subiti nel girone di ritorno dal Milan).
Perché il tecnico rossonero è stato bravo a rielaborare gli aggiornamenti tattici degli ultimi anni, fornendo la propria versione del calcio a uomo e in pressing costante che ha portato Gian Piero Gasperini a stravolgere gli equilibri del nostro campionato. Ne è nata una squadra fluida, duttile e dinamica. Una formazione in grado di vincere lo scudetto e, al contempo, dimostrare ancora ampi margini di miglioramento.
Un cerchio che si chiude, come del resto è il rapporto straordinario costruito con Ibrahimovic. Una personalità scolpita nelle fiamme capace di rimettere in piedi lo spirito del vecchio Milan, un trascinatore divenuto sempre meno cruciale nelle sorti rossonere grazie alla gestione di Pioli. Uno che, invece, in passato non è mai stato considerato in grado di gestire uno spogliatoio di stelle.
Proprio qui sta il bello. Chiudere anche questo cerchio, uno dei tanti evaporati nel caldo di Reggio Emilia. Pioli ha vinto con il fuoco dentro. E, ora, si merita di godersi fino in fondo quel coro a lui dedicato. A patto che la si canti tutta quella canzone, incluso il “freed from desire”. Il desiderio di spazzare via una lunga serie di luoghi comuni, oggi, ha ufficialmente lasciato l’allenatore del Milan. Con 195 punti in 88 partite post-lockdown e uno scudetto al cardiopalma si è chiuso un cerchio, un capitolo all’apparenza interminabile.
E chissà che il meglio non debba ancora arrivare…
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