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Tennis

La legge del settimo game: Sinner li straccia così

Lorenzo Topello
La legge del settimo game: Sinner li straccia cosìN/A
Jannik e il "gioco della svolta": i precedenti della stagione con Alcaraz, Djokovic, Medvedev e molti altri. Ecco perché non è una coincidenza

Lo scambio si infittisce, Jannik ha un’idea e si avvicina al campo. Poi cuce la palla corta con ago e filo, un tessuto finissimo: Fritz si allunga, ma è in ritardo. La partita gira qua, con l’azzurro che si porta sul 4-3: break nel primo set. Termine che poi nell’uso comune, al di là di quel delicato momento in cui un tennista perde il servizio, significherebbe "pausa". Non per Sinner. Non per colui che si è guadagnato il titolo di Maestro per la prima volta in carriera, il primo italiano a riuscirci. Lui nel settimo game invece di rallentare azzanna. Usa gli artigli, costruisce la chance per strappare il servizio e orientare la partita. Il suo 2024 è ruotato tutto intorno al settimo game: doveva accadere, naturalmente, anche durante queste Finals.  Dietro le partite-lampo di Sinner in queste Finals torinesi (dopo la semifinale la somma dei suoi minuti in campo dava come risultato l’intera sfida contro Alcaraz allo Us Open 2022) c’è la voglia di non lasciare nulla al caso. Jannik e le coincidenze viaggiano su carrozze opposte di treni che difficilmente si incontreranno: lo dimostra anche la capacità scientifica di vincere tutte le sue gare 2-0, come era riuscito, l’ultima volta, nel 1986 a Lendl. Medioevo, tennisticamente parlando. Neanche un set concesso, una rarità. Jannik è un rullo compressore anche grazie al "game della svolta", il settimo: è accaduto prima di queste Finals anche contro Alcaraz a Riad: è vero, non faceva testo sul piano dei match ufficiali, ma Jannik correva coi cavalli del motore a tutto spiano per togliersi lo sfizio di battere per la prima volta Carlos nel 2024. E ci è riuscito dando una spallata al match nel momento più delicato: secondo set (con lo spagnolo che aveva vinto il primo), settimo game. Si era 3-3, Sinner aveva appena perso il servizio: ed ecco servito il contro break. Costruzione sistematica di un percorso alternativo alla maratona, una scorciatoia per guadagnare una spanna di vantaggio e poi proteggere con ordine il risultato grazie al successivo turno di servizio. Che, nella finale di Torino contro Fritz, è tornato a livelli impressionanti: 14 ace, 83% di punti vinti con la prima. 

È una tendenza lunga un’intera stagione e costellata di luminosi esempi, quella del game in cui Sinner diventa quel gran genio del nostro amico, come cantava Battisti, e sa sempre cosa fare. Il 2024 lo ha incoronato per la prima volta campione in uno Slam, ed è stato proprio a Melbourne che Sinner ha giocato certi settimi game come dei momenti di non ritorno, portandoli tutti dalla propria parte. Tipo contro Khachanov agli ottavi, anche se il nome dell’avversario forse non era altisonante come quello di Nole Djokovic in semifinale. Lì Jannik ha fatto capire a tutti di aver definitivamente colmato il gap col serbo, dopo l’eroica sfida di Coppa Davis dove gli aveva cancellato tre match point prima di rimontare e vincere. No, non era stata un’avventura (sempre citando Battisti) quella sfida fra Italia e Serbia: Sinner in pentola aveva già cucinato qualcosa di letale, da riproporre a ogni occasione ghiotta. Ovvero al secondo set della semi australiana: l’azzurro avanti, un buon 4-2 per salire sul 2-0 nel conto dei parziali. Sul servizio del serbo improvvisamente Jannik molla gli ormeggi, si guadagna due palle break e mette in banca la seconda, approdando sul 5-2 che poi diventa comoda chiusura del set al turno di servizio. Nole si aspettava le marce basse, Sinner mette la quinta. Ma in finale contro Medvedev il settimo game rischia di diventare mortifero: quarto set (il russo ne ha già vinti due) e serve Sinner sul 3-3 nel parziale.

Qualcosa si inceppa, Daniil costruisce la sua palla break mandandolo sul 30-40. Se Sinner cede, la partita non gli torna indietro più. Jannik cancella la palla break e si prende il parziale. Un’ora dopo vince la partita in rimonta: benedetti la forza mentale e gli artigli del settimo game.  Poi, allo Us Open, il russo i break li ha incassati tutti insieme. In quale game? Superfluo ribadirlo. Nel primo set della sfida valida per il passaggio in semifinale, Sinner applica la teoria della gara-lampo: pazienza se ha già strappato un break, bisogna abbreviare la partita. È avanti 4-2, manda il russo sullo 0-40 e non aspetta neanche la terza chance per strappargli il servizio. Se lo prende di prepotenza. Così come nel quarto e decisivo set che ricostruisce la situazione della finalissima di Torino: siamo sul 3-3, gara equilibrata. Poi un’accelerazione dietro l’altra e improvvisamente Jannik si è preso il break. Non te ne accorgi nemmeno, come con quei pistoleri da film western che fanno fuoco in un istante e lasciano i cittadini del pueblo ad osservare solo la pistola fumante. Non se ne è accorto nemmeno Fritz nella finalissima dello scorso Us Open: primo set come sempre equilibrato in apertura, poi ecco la situazione di 3-3. Sarà che non si cambia campo, sarà che Jannik si fionda con determinazione sul turno di battuta avversario, sta di fatto che anche quel settimo game si è colorato d’azzurro: 4-3, break, comodo allungo per avvicinare il set. Sinner mette in atto un copione impeccabile, dall’altra parte della rete si può solo correre. O, se si è in ritardo, accettare il doloroso significato tennistico del break. Quel gran genio di Jannik, del resto, è amico nostro.

Fonte: gazzetta.it