Perché Jannik Sinner è il più amato dagli italiani? Ho molto rispetto delle radiografie del “fenomeno” che molti si sentono in dovere di effettuare. Ed è un piacere leggerne i relativi referti sulle tv, nei giornali, sui siti, ormai non soltanto italiani. Ma onestamente credo che non aggiungano molto alla risposta telegrafica al quesito: perché vince ed è un bravo ragazzo. Approfondirei il primo concetto: la supremazia mondiale. Arrivavano a quel top anche Valentino Rossi e Alberto Tomba, certo, ma erano i padroni, a ben vedere, di sport non universali: in Sudamerica o in Africa, ma anche in Australia e in tutta l’Asia, lo sci lo vivono poco o niente. E anche la MotoGp e i suoi eroi non sono merce globale. Sinner sì, perché lo è il suo sport. Che ha il vantaggio di un calendario aperto 11 mesi all’anno, e di diversi picchi d’interesse. Una ribalta che non hanno mai avuto le nobili Pellegrini e Vezzali o i grandissimi Tamberi e Mennea. Non è questione di chi sia “più”, ma di mera popolarità. Da questo punto di vista, niente di paragonabile al tennis che è anche sport individuale, quindi unificante in senso nazionale, laddove i nostri grandi calciatori, per esempio, sono vittime, chi più chi meno, della faziosità del tifo. Come lo erano perfino i sommi Coppi e Bartali.
Aggiungiamo che l’Italia ha una bella tradizione nel tennis, ma da decenni invidiamo spagnoli, americani, svizzeri, serbi, francesi, australiani, che di Sinner ne propongono più o meno a getto continuo. Ci mancava qualcosa, ci mancava tanto. Secondo versante: il bravo ragazzo. Jannik è quello che parla al mondo di mamma, papà e zia, soccorre uno spettatore in tribuna, chiacchiera con una bambina sotto l’ombrello, ringrazia il grande arbitro Carlos Bernardes che chiude una bella carriera nel momento del suo trionfo a Torino. Sembrerebbe il ragazzo che chiede scusa se ti urta per sbaglio per strada, che pronuncia con frequenza la parola grazie, che ti tiene aperta la porta dell’ascensore. Come facciamo tutti noi quando siamo in buona col mondo. E, sorpresa, Sinner vince (quest’anno stravince) smentendo del tutto la mistica della “cattiveria agonistica” del bad boy che secondo alcuni deve sempre nascondersi nell’animo del super campione. Sembra che per diventare “personaggio” sia necessario viaggiare borderline con la trasgressione, esagerare in qualcosa, far mostra di una certa sicurezza di sé che sconfini nell’arroganza: ma si tratta di una narrativa banale e mediocre, soprattutto disancorata dalla realtà. Che cosa significhi poi essere personaggio, è dura dirlo: uno semplicemente importante e riconoscibile? O che recita una parte? Una cosa è certa: Sinner lo è, ma alle sue condizioni.
Non vi stupirete che in questo Paese, ricco di autonominati eroi della controinformazione, le tante meraviglie che Sinner ci sta portando in regalo cominciano a venire a noia a qualcuno. Ma caspita, sussurrano, è proprio come Gesù Bambino il ragazzo? Dobbiamo inchinarci e santificarlo? L’anticonformismo a prescindere è la cifra di questa categoria di persone, per le quali i buoni sentimenti sono espressioni patetiche, pallose, retoriche. E quindi al prodigio con la racchetta sceso dalla Val Pusteria va riservata una bella dose di sarcasmo urticante, in attesa di scoprire chissà quali altarini. Miserie da salotti snob. A Jannik interesserà zero. E ai milioni di italiani che lo applaudono ancora meno.
Fonte: gazzetta.it