Matthijs de Ligt mette radici ovunque. E' questa la sua grande forza. Oltre quella fisica, s'intende. E oltre la grande struttura di cui è dotato, questo è certo. Ma Matthijs, e chiamarlo con il nome di battesimo ci riconsegna anche la dimensione del ragazzo, è proprio l'uomo a cui aggrapparsi durante le tempeste, ventidue anni di quercia secolare che resiste a ogni tempesta. Anche quando si abbatte su di lui. Sta lì. Aspetta il sereno.
Quando era all'Ajax e gli diedero la fascia da capitano, ci fu chi obiettò la giovane età: la risposta fu il miglior piazzamento Champions da anni, a un passo dalla finale, una prestazione senza eguali contro il Real Madrid.
Quando alla Juve parlavano della cifra per la quale era stato strappato ai Lancieri, la risposta è stata scardinare pezzo dopo pezzo una parte di storia come la BBC e provarne a costruirne un'altra, pur mantenendo la tradizione. Nel mentre, ha cambiato vita, amici, città - ma l'amore per Amsterdam è ancora vivissimo -, squadra, campionato e ambizioni. Allenatori, tanti. Quindi modi di difendere: perché se Sarri lo voleva altissimo, Pirlo ha cercato di tenerlo un po' più basso, mentre Allegri ha cambiato drasticamente le carte in tavola.
L'adattamento di De Ligt
Adattarsi è stato lo spirito con cui ha vissuto e sta vivendo questa vita alla Juventus. Non è stata rose e fiori: è la fiaba del centrale, dell'operaio invisibile che non è più un undicesimo se poi l'attaccante prende tutta la copertina.
Anche per questo, le critiche sono scivolate addosso come gli avversari: De Ligt non ha fatto altro che prenderle di petto, provando a rilanciarle al mittente. Certo: ci sono stati momenti complicati. Nella prima parte della sua avventura ha rischiato di diventare un "pallavolista" - come ha raccontato col sorriso a DAZN, nel nostro "1 contro 1" - però da lì è ripartito ed è cresciuto sempre di più. Alle spalle di due totem come Chiellini e Barzagli.
A proposito: l'apprendistato prosegue. Soprattutto sulla forza mentale e sulla tenuta per tutti i novanta minuti. Il talento è tanto ma sgrezzarlo è l'unico modo per dargli continuità. Anche per questo Matthijs ha scelto l'Italia come punto di partenza e non certo d'arrivo: ogni passo è finalizzato alla sua crescita, perché l'obiettivo è diventare il più forte difensore centrale al mondo.
I numeri in Italia
La Juve non solo gli ha dato fiducia: ma le chiavi della difesa. In particolare al suo arrivo, quando l'infortunio di Chiellini gli ha spalancato le porte della titolarità: Sarri ha dovuto fidarsi di lui, lui si è fidato di Sarri. Vincendo lo scudetto nella surrealtà dei primi approcci con il covid, con la paura, con un calcio che non era più quello che ricordavamo.
Anche Matthijs ha sofferto in questo particolare periodo: è stato positivo e ha lasciato strascichi, eppure davanti a tutto ciò non ha saputo frenare la sua corsa. In due anni e poco più di un mese ha collezionato oltre 80 presenze (e già 6 gol) con la Juve, in questa stagione è stato sempre titolare tranne a Napoli e in panchina con il Milan. Il mito delle gerarchie, insomma, è proprio questo: è un mito. Infondato. Perché due indizi non hanno mai provato l'idea di Allegri di tenerlo fuori.
Il futuro è dalla sua e sembra una candida banalità. Una frase fatta dettata dalla giovanissima età e dal fatto che ormai non sorprenda più una sua prestazione di assoluto livello: De Ligt è semplicemente un giocatore a parte, diverso, forte perché mentalmente saldo e perché quotidianamente impegnato nella sua personalissima crescita. Passano gli anni ma le ricette per diventare grandi non cambiano mai. Del resto, l'ha detto proprio Allegri: una valutazione non fa un giocatore. Ci vuole calma, equilibrio, pazienza. I tre elementi sul taccuino di Matthijs, che non smette di voler imparare.